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IL CONSENSO AFFERMATIVO COME PARAMETRO PER L'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 609 bis DEL CODICE PENALE

Articolo a cura di  Ester Barel
Revisione a cura di Marco Sasso, Ludovica Davoli e Anna Flora

Ancora 1

1. La situazione normativa italiana e le proposte di modifica

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Ciascuna norma del Codice penale è suscettibile di cambiare continuamente la vita di molti individui e della collettività. È possibile individuare degli articoli che rappresentano pietre miliari dell’evoluzione di ogni Stato e che hanno contribuito a renderlo un luogo più equo e sicuro per tutti coloro che ci abitano[1]. Tra questi rientrano quelli che tutelano l’integrità psico-fisica della persona, risultato di cambiamenti culturali non solo voluti, ma anche sofferti dalle categorie strutturalmente o storicamente più vulnerabili della società.

Ne è un esempio l’articolo 609-bis, delle cui proposte di modifica proveremo a discutere in queste righe. L’articolo è rubricato “violenza sessuale” e punisce le condotte del soggetto agente che con violenza o minaccia o abuso di potere costringe taluno a prendere parte ad atti sessuali e del soggetto che abusi delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto o sfrutti l’inganno sulla propria identità per il medesimo scopo.

Con la riforma dei reati contro la violenza sessuale operata dalla legge n. 66 del 1996 sono state introdotte varie innovazioni, tra le quali i delitti contro la libertà sessuale, collocati tra i delitti contro la persona anziché contro la morale. Si è pertanto adeguata alla mutata sensibilità del tempo la concezione della sessualità, ormai intesa come espressione della libertà di autodeterminazione.

Ad oggi, la scelta del consenso affermativo[2] come parametro all’interno dei reati di violenza sessuale viene indicata da un crescente numero di associazioni, movimenti o semplicemente cittadine/i come il logico prosieguo del percorso istituzionale di tutela della donna e, più in generale, della libertà sessuale e di autodeterminazione. L’espressione del consenso non fa dunque riferimento alla sottoscrizione di un contratto, ma alla comunicazione di una volontà, all’assicurarsi che in tutti i momenti di un atto sessuale sussista il consenso. Indicativo di questa evoluzione della sensibilità è stata la campagna #IoLoChiedo lanciata dal ramo italiano di Amnesty International, che è culminata con l’invio di una lettera in cui l’Associazione ha chiesto al Ministro della Giustizia la revisione dell’articolo 609-bis del codice penale “affinché qualsiasi atto sessuale non consensuale sia punibile". La proposta era di adottare un modello che valorizzi l’elemento del consenso della persona offesa e non la violenza o la minaccia, […] adeguando in questo modo la legislazione italiana agli standard internazionali e, in particolare, alla Convenzione di Istanbul del 2011 (“Convenzione del 2011”), la quale agisce – nella sua qualità di trattato internazionale – come strumento finalizzato a prevenire e contrastare la violenza contro le donne.

Tale Convenzione specifica all’articolo 36, paragrafo secondo, che il consenso deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona, e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto.

 

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2. Il consenso come strumento per cambiare l'approccio nelle relazioni

Ancora 2

Una delle argomentazioni a favore dell’utilizzo del consenso all’interno della legislazione penale è proprio l’importanza di costruire un nuovo approccio verso la sessualità., nel quale l’ordinamento sia in grado di considerare la volontà del soggetto, tutelando il rispetto dei confini della sfera personale.

A tale proposito, è possibile rinvenire in giurisprudenza diversi modelli, primo tra i quali il modello così detto vincolato, secondo il quale vengono ritenuti violenti solo gli atti sessuali all’interno dei quali ricorrono i vincoli della costrizione. Diversamente, il modello consensuale puro considera reato qualsiasi tipo di atto sessuale nel quale manchi il consenso. In Italia, l’ordinamento è impostato su un modello mediano, c.d. “modello consensuale limitato”, che considera reato qualsiasi atto sessuale rispetto al quale la vittima abbia manifestato un chiaro dissenso. Nonostante questo, nel contesto nazionale si assiste ancora alla pronuncia di sentenze che si conformano al precedente modello vincolato. In molti casi, infatti, l’obiezione che viene mossa – dentro e fuori dalle aule dei tribunali – è che la vittima non abbia reagito fisicamente o verbalmente all’aggressione. Rilevante a questo riguardo è l’intervento di Anna Lorenzetti, esperta di diritto discriminatorio e ricercatrice presso l’Università di Bologna, secondo la quale spesso, soprattutto se sanno di non poter ricevere aiuto, le donne si proteggono con uno stato di alienazione e non si può considerare liberamente consenziente una persona che sa di non avere vie di fuga o di non poter resistere e che quindi non si oppone fisicamente.

È proprio dall’analisi di cui sopra che nasce l’inderogabile necessità di emanare una disposizione in cui sia possibile sussumere tutti quei casi in cui con la normativa attuale sarebbe difficile provare la lesione del bene giuridico integrità psico-fisica e libertà di autodeterminazione del soggetto passivo[3]. Occorre perciò vincere lo scetticismo sulla effettiva possibilità di utilizzare in sede giudiziaria questo criterio normativo così come riflettere più a fondo in dottrina sui limiti della convinzione che il consenso abbia di per sè un infinito potenziale emancipatore.

 

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3. Il caso spagnolo e le implicazioni applicative

Ancora 3

Con riguardo alle implicazioni pratiche dell’adozione di modelli diversi, la Spagna è recentemente stata oggetto di attenzione a livello internazionale, quando il governo di Pedro Sànchez, Primo Ministro spagnolo, ha cercato di rafforzare la lotta contro la violenza sulle donne, conformandosi alle politiche già adottate da 15 Paesi europei fino all’emanazione di leggi basate sul consenso affermativo. La legislazione spagnola considera violenza qualsiasi avance sessuale che non abbia ricevuto un consenso esplicito.

Citando nuovamente la professoressa Lorenzetti: “in un momento precedente, al fine di riconoscere la violenza era necessario dimostrare che la donna aveva opposto una resistenza esplicita e non equivoca, quasi sempre fisica. C’è stata una completa inversione di quello che in termini tecnici si chiama onere della prova”. Pertanto, i procedimenti giudiziari “richiederanno una valutazione sensibile al contesto delle prove per stabilire, caso per caso, se la vittima abbia liberamente acconsentito all’atto sessuale compiuto con le annesse difficoltà di prova”.

Le difficoltà probatorie inerenti all’accertamento del consenso della donna sono state oggetto di numerosi commenti in Italia, ma è da notare che già oggi nel diritto italiano ci sono varie altre fattispecie che presentano le medesime difficoltà di accertamento.

Un altro profilo rilevante è quello relativo alle conseguenze della riduzione delle pene edittali operato dalla legge. Secondo un’analisi ufficiale compiuta dal Consiglio Generale della Magistratura spagnola, infatti, tale modifica normativa ha comportato la riduzione del numero delle condanne nell’ordine delle centinaia e decine di scarcerazioni di condannati, diretti beneficiari del principio del favor rei.

Anche in Spagna [4], infatti, le novità legislative penali favorevoli al condannato incidono anche sulle sentenze di condanna già pronunciate: e la modifica legislativa in discorso ha introdotto una nuova fattispecie di reato, comprensiva delle due diverse fattispecie di aggressione sessuale e di abuso sessuale, ossia condotte tra loro molto diverse, stabilendo una scala progressiva di sanzioni molto ampia, con modifiche delle peni edittali massime e minime e, in alcuni casi, l’abbassamento delle pene minime.
Il caso spagnolo mette in evidenza le criticità che possono determinarsi nelle fasi di transizione da un quadro normativo ad un altro.

Marisa Soleto, direttrice dell’organizzazione femminile Fundación Mujeres, ha fortemente criticato il governo spagnolo, dolendosi della mancata capacità di preparare la cittadinanza al cambio di prospettiva che la legge presuppone. È necessario, infatti, che, da un lato, ci sia un impegno forte per alzare il livello della consapevolezza pubblica, e, dall’altro, vengano operate scelte tecniche accorte a attivati programmi di aggiornamento degli operatori di giustizia sulle novità. Proprio su quest’ultimo punto si sofferma Laura Schettini, autrice del libro La violenza contro le donne nella storia[5] , spiegando che “oltre ai codici e alle norme, una parte importante della storia giuridica della violenza l’ha fatta e la continua a fare la giurisprudenza, le decisioni dei tribunali».

 

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4. I limiti al consenso e la situazione attuale

La dottrina ha recentemente analizzato le implicazioni teoriche, insieme alle relative conseguenze pratiche, della scelta di fare del consenso affermativo un punto centrale nella normativa inerente alla lotta contro la violenza.

Jennifer Guerra, giornalista e scrittrice, ha descritto il concetto di consenso affermativo come retorica diffusasi a partire dagli anni ’90, risultato di una riflessione secondo la quale le donne “possono tutto”, compreso evitare di essere vittime di violenza sessuale “con la sola presa di parola[6]”.

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5. Conclusione
Ancora 4
Il consenso affermativo non appare come unica e sufficiente chiave giuridica per tutelare la libertà di autodeterminazione e scardinare dinamiche radicate di violenza, ma può, con la dovuta attenzione, essere tra gli strumenti che la giurisdizione penale può utilizzare affinché le istituzioni si allontanino da una concezione ormai datata di violenza. Si tratta di un passo avanti necessario per adattare il contesto normativo all’evolversi della sensibilità sociale della comunità internazionale in merito alla sessualità e in generale al vivere comune: dalla tendenza a cristallizzare oppressioni storiche verso il re-immaginare la sessualità e più in generale la convivenza sociale. Non va dimenticato che ad oggi il 39,3% della popolazione italiana ritiene che una donna sia in grado di sottrarsi all’imposizione di un rapporto sessuale al quale non ha consentito, qualora non sia suo gradimento; e il 23,9% degli italiani sostiene che le donne possano provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire (ISTAT, 2019). I dati richiamati sono purtroppo indicativi di una concezione ancora non pienamente moderna delle dinamiche del rapporto intimo tra due persone. L’innovazione legislativa potrebbe e dovrebbe essere un incentivo a cambiare la percezione della nostra comunità nazionale in merito a questo tema, uno degli strumenti di tutela contro ogni forma di violenza e un modo per permettere a tutti di godere delle libertà costituzionalmente riconosciute e tutelate.

[1]: Abitano perché il codice penale si applica, infatti, anche a chi non è propriamente residente

[2]Da The Vision: Come spiega Katherine Angel in Il sesso che verrà. Donne e desiderio nell’era del consenso, il consenso affermativo si è diffuso a livello giuridico negli Stati Uniti negli anni Novanta, in seguito ad alcuni casi di stupro avvenuti nei campus delle università. Si voleva superare l’idea che le donne fossero soltanto vittime passive della violenza maschile, affermando un loro ruolo attivo nella dinamica sessuale. Nel sesso, le donne avevano il potere di dire “sì” e non soltanto “no”.

[3] Bene giuridico= bene riconosciuto e tutelato dall’ordinamento Soggetto passivo= chi subisce l’evento causato dalla condotta punita da un reato

[4]Come in Italia e nella maggior parte degli stati di diritto

[5]storica dell’Università Orientale di Napoli, che con Simona Feci ha curato il libro La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto (secoli XV-XXI)

[6]Katherine Angel,  Il sesso che verrà. Donne e desiderio nell’era del consenso

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