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IL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

Le sue caratteristiche e l'iter della riforma Cartabia

Redazione a cura di Francesco Neri

1. L'origine del CSM

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Introdotto nell’ordinamento dall’Articolo 104 della Costituzione della Repubblica Italiana, il Consiglio Superiore della Magistratura, in analogia con il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa e con il Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, è l’organo titolare dell’autogoverno del corpo dei magistrati ordinari, costituenti infatti un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Nozione nota non a molti, sebbene con compiti limitati e principalmente consultivi, una prima forma del Consiglio operò fin dall’inizio del ‘900 già nel periodo monarchico, quando, su impulso del terzo Governo Giolitti, fu insediata con rapporto di dipendenza funzionale presso il Ministero di Grazia e Giustizia ai sensi della Legge n. 8511 del 1907, il cui Disegno originario ebbe la prestigiosa firma del Guardasigilli del tempo, Vittorio Emanuele Orlando, insigne giurista e protagonista della politica italiana della prima metà del XX secolo. A dispetto della propria natura di organo costituzionale, tuttavia, l’effettiva istituzione della versione contemporanea del CSM si data alla Legge n. 195/1958, cui seguì l’insediamento del suo primo consesso il 18 luglio del 1959, oltre tredici anni più tardi rispetto all’entrata in vigore della carta fondamentale, in uno schema discrasico fra previsioni costituenti circa la giurisdizione e implementazione delle stesse che già era stato caratteristico della Corte Costituzionale e che, con ogni probabilità, si può ricondurre alla fisiologica esitazione del legislatore e dell’esecutivo nel riconoscere veri spazi di autonomia ad un potere ad essi alieno e potenzialmente capace di conflitto con le rispettive aree di attività. 

Ancora 2

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​Attualmente constante ope legis di ventisette membri, componenti ex officio del CSM sono il Presidente della Repubblica, che lo presiede, ed il Primo Presidente ed il Procuratore Generale presso la Corte Suprema di Cassazione; i rimanenti ventiquattro membri, con mandato quadriennale non immediatamente rinnovabile, sono per due terzi togati, ovvero magistrati ordinari eletti dai propri colleghi tramite l’attribuzione di preferenze a delle liste paragonabili a quelle di normali elezioni politiche, e per un terzo laici, ovvero eletti dal Parlamento in seduta comune fra professori universitari di discipline giuridiche ed avvocati con un’esperienza di almeno quindici anni di patrocinio; fra questi ultimi, il CSM stesso elegge il proprio Vice Presidente, che, in ragione dei molteplici compiti del Capo dello Stato, è il vertice istituzionale de facto del Consiglio in molte delle sue attività ordinarie. A tal proposito, chi scrive, prima di procedere oltre nell’illustrazione delle caratteristiche dell’organo oggetto della trattazione, ritiene fatto notevole e degno di segnalazione il carattere peculiare dell’interpretazione data al proprio ruolo nel Consiglio dall’attuale Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: egli, protagonista di frequenti richiami alla necessità di riformare il sistema elettorale del CSM, non da ultimo in occasione del discorso del secondo insediamento lo scorso 3 febbraio, ha scelto di presenziare a numerosi plenum, soprattutto nella fase successiva alla scia di dimissioni rassegnate da molti membri togati nel 2019 in seguito al così detto “scandalo Procure”, e, nondimeno, in aperta opposizione a valutazioni del CSM di necessaria natura politica su innovazioni normative di competenza del Parlamento, si è impegnato affinché i pareri offerti dall’organo, attività in sé non pienamente riconducibile alle funzioni ad esso assegnate dal Costituente, acquisissero un fondamento argomentativo tecnico, come, ad esempio, nel caso del fermo imposto alla votazione della seduta plenaria del parere offerto dalla sesta commissione circa la riforma Cartabia del processo penale, incentrato sul solo istituto della improcedibilità e non sul complesso del suo impianto per pura scelta discrezionale, e probabilmente ideologica, della commissione stessa. Invero, è stato proprio il carattere non diffuso della disciplina costituzionale sulle attribuzioni del CSM ad alimentare un ricco dibattito dottrinale relativo al suo status di organo costituzionale o di rilievo costituzionale, infine risolto dalla Consulta in senso favorevole alla prima ipotesi; coerentemente con tale esito, i poteri propri del CSM si sono consolidati relativamente al processo di assunzione dei magistrati tramite concorso, alla destinazione ad incarico dei medesimi e, più in generale, a tutti gli aspetti rilevanti delle loro carriere, dalle valutazioni di professionalità fino ai trasferimenti, passando per l’autorizzazione alla transizione dalla funzione inquirente a quella giudicante.

2. Le caratteristiche del CSM e la sua composizione

3. Le criticità nell'autonomia di governo della magistratura

Ancora 3

In un Paese in cui, ricorrendo a eufemismi, il rapporto fra politica e magistratura è complesso e conflittuale almeno dal 1992, quando ebbe inizio la stagione di Tangentopoli, il CSM da sempre rappresenta uno dei pochi luoghi ove la dialettica fra potere politico e giurisdizionale è istituzionalizzata e regolata. Tuttavia, tale rapporto ha frequentemente travalicato i limiti della propria fisiologia per assumere dei tratti patologici, in primis in ragione dell’organizzazione correntizia delle aree ideologiche in cui si riconoscono i membri della magistratura ordinaria: le numerose realtà sociali che assumono la rappresentanza di tali correnti, infatti, concorrono non solo alla ripartizione dei seggi del comitato direttivo della maggiore associazione di categoria della magistratura, dotata di notevolissima influenza sul potere politico, ma anche alla formazione delle liste elettorali per il CSM, dove, avvenuta l’elezione, trovano spesso una sintonia con i membri laici in ragione della vicinanza valoriale ed ideologica che di volta in volta ci sia fra ciascuna associazione e la forza parlamentare con in quota almeno un Consigliere ad essa più affine. 

Alla dinamica di simili convergenze basate su logiche di fazione, che di certo rischiano di minare la credibilità di un potere che dovrebbe essere estraneo alle vicissitudini della politica, nel recente passato si è affiancata la consapevolezza di alcuni meccanismi di nomina negli incarichi direttivi resa possibile dalla rivelazione del così detto “sistema Palamara”, espressione con cui ci si riferisce alla presunta origine dell’individuazione dei responsabili di rilevanti Procure in accordi fra esponenti partitici e componenti del CSM in base a una sintesi fra gli equilibri elettorali delle sopra citate associazioni, o almeno dei loro rappresentati pro tempore, e fra quelli delle forze parlamentari. Proprio tale vicenda ha innescato l’inedito avvicendamento tre anni fa nella composizione del CSM eletto nel 2018, ovvero l’evento che ha imposto quel redde rationem da cui nasce la maturazione della volontà del legislatore circa la riforma dell’autonomia della magistratura.

4. L'iter della riforma Cartabia

Ancora 4

Licenziato nella propria versione definitiva antecedente l’iter parlamentare dal Consiglio dei Ministri dell’11 febbraio del 2022, in cui ha trovato approvazione unanime, il Disegno di Legge promosso dalla Ministra Cartabia prevede nel proprio testo originale novità significative. Innanzi tutto, esso innalza a trenta il numero dei Consiglieri del CSM, mantenendo la ripartizione costituzionalmente imposta dei seggi in un terzo per i componenti laici e due terzi per i togati, che individua numericamente per funzione (saranno eletti due magistrati di legittimità, cinque pubblici ministeri e tredici magistrati giudicanti), introduce collegi binominali geograficamente definiti ove è possibile la sola candidatura personale e non la presentazione di una lista, pur in presenza di cinque seggi attribuiti su scala nazionale secondo criteri proporzionali, e prevede per la prima volta la possibilità del ricorso al sorteggio in caso di mancato raggiungimento di almeno sei candidature per ciascun collegio. Inoltre, per quanto concerne il tema delle famigerate porte scorrevoli fra magistratura e politica, il disegno di legge prevede la non eleggibilità a nessuna carica parlamentare, governativa o amministrativa dei magistrati nella regione in cui abbiano prestato servizio nei tre anni antecedenti la candidatura, cui si aggiunge il divieto dell’esercizio di funzioni giurisdizionali per quelli il cui mandato elettivo o il cui il cui incarico governativo sia scaduto, che vengono collocati fuori ruolo con compiti di carattere amministrativo. Infine, il testo della riforma prevede la decadenza dei requisiti di secondo livello per la partecipazione al concorso di accesso alla magistratura, la riduzione del peso dell’anzianità nell’attribuzione degli incarichi, la rilevanza nella valutazione di professionalità della capacità organizzativa degli uffici di competenza e della conferma nei successivi gradi di giudizio dei provvedimenti giurisdizionali adottati e, ultimo ma non per importanza, l’obbligo di procedere alla nomina degli incarichi direttivi in base all’ordine del verificarsi della loro vacanza, così da scoraggiare le antiche logiche correntizie e spartitorie nelle attribuzioni degli stessi.

Attualmente, il disegno di legge è in fase di discussione presso la Commissione Giustizia della Camera, la cui Presidenza ha imposto un taglio degli emendamenti presentabili per consentire il perfezionamento del voto entro le tempistiche previste; sia simili vicende procedurali, sia sensibilità spesso contrapposte fra le forze politiche di maggioranza, che pure hanno garantito l’unanimità in Consiglio dei Ministri, costituiscono elementi di incertezza nel futuro della riforma, cui non ha risparmiato critiche nemmeno l’Associazione Nazionale Magistrati relativamente al meccanismo elettorale da essa introdotto, posizione di ostilità cui si è aggiunto lo stesso Consiglio Superiore in scadenza con un parere di recente approvazione.

Infine, in tale quadro, è impossibile non segnalare l’incognita del futuro esito delle consultazioni referendarie su temi inerenti proprio la giustizia, e, in particolare, quelli aventi ad oggetto i quesiti sulle nuove funzioni da riconoscere ai consigli giudiziari, sul ruolo delle liste e sulla separazione delle carriere fra magistrati inquirenti e giudicanti.

Conclusioni

Ormai nell’ultimo anno di legislatura, e con un Consiglio Superiore in scadenza l’estate ventura, al futuro della riforma Cartabia, sintesi difficoltosa, come già ricordato, di posizioni eterogenee e culturalmente distanti, appare ormai legata la credibilità della politica parlamentare nella propria promessa di restituire alla pubblica opinione e ai cittadini una magistratura che appaia davvero meritocratica ed indipendente nella composizione del proprio organo di autogoverno e nelle scelte compiute da quest’ultimo in tema di carriere e nomine. La preoccupazione degli osservatori esterni circa un possibile esito negativo dell’iter della riforma è legato alla consapevolezza che, viste le contingenze temporali, oltre che difficoltosa, essa è forse l’unica sintesi possibile. 

Sitografia

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