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L'ERBA DEL VICINO È SEMPRE
PIÙ GREEN

Articolo a cura di Roberto Nolé, Valeria Sgobbi, Lucrezia Villa

Revisione a cura di Lucrezia Villa

Ancora 1

1. Un mondo ancora troppo poco eco-friendly – A cura di Roberto Nolè

Era il 1987 quando l’allora presidente della Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo Gro Harlem Brundtland presenta il rapporto “Our common future”, in cui viene data per la prima volta una definizione di sviluppo eco-sostenibile, inteso come "lo sviluppo che è in grado di soddisfare i bisogni della generazione presente, senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri".

Ad oggi, dopo più di 30 anni dal rapporto Brundtland, risulta estremamente difficile affermare, almeno con un certo grado di certezza, che il futuro immaginato in quel testo possa assomigliare anche solo minimamente al nostro presente. Eppure, anche se non in maniera tempestiva, qualcosa si è mosso negli ultimi 10 anni, con un occhio di riguardo proprio nei confronti delle generazioni future citate nel rapporto dell’87.

 

Nel 2015, l’ONU ha presentato l’Agenda 2030 ed i SDG: i Sustainable Development Goals, cioè obiettivi comuni stilati per rispondere in modo attivo, con politiche economiche e sociali, alla questione ambientale.

I 17 punti richiedono un approccio che sia il medesimo nel risultato, esulando dalla richiesta di un’azione omogenea da parte di ciascun Paese, che resta libero di porre in essere una propria strategia di sviluppo sostenibile partendo da presupposti economici e sociali anche molto diversi.

In Italia, la Direzione generale per la crescita sostenibile e la qualità dello sviluppo svolge a tal fine diverse attività in ambito nazionale e internazionale volte a promuovere la transizione verso un’economia più sostenibile, al fine di contribuire all’attuazione dell’Agenda 2030 e alla governance ambientale nazionale.

 

A tal proposito, è bene ricordare che il 2021 sarà un anno decisivo per il nostro paese nell’ambito della transazione ecologica: i fondi del Next Generation EU, di cui l’Italia sarà il maggior beneficiario, dovranno essere assegnati ad investimenti "green" volti a diversificare le risorse energetiche per una quota pari al 37% degli stessi. Inoltre, l’istituzione di un Ministero per la transizione ecologica, e le manovre inserite nella (?) legge di bilancio 2021, tra cui la nascita di un fondo d’investimento per la transizione ecologica dedicato alla produzione di energia da fonti rinnovabili, fanno sperare in un repentino cambio di passo ecosostenibile per le PMI italiane.

Tuttavia, le contraddizioni non mancano: la famosissima Plastic Tax, che sarebbe dovuta entrare in vigore a gennaio 2021, è slittata a luglio, portando con sé alcune modifiche, tra le quali una variazione al ribasso del regime sanzionatorio in caso di violazioni.

 

Le realtà aziendali stanno pian piano comprendendo che un approccio strategico nei confronti del tema della responsabilità sociale delle imprese è sempre più importante per la competitività. Esso può portare benefici in termini di gestione del rischio, riduzione dei costi, accesso al capitale, relazioni con i clienti, gestione delle risorse umane e capacità di innovazione’’, come sancito dalla Commissione Europea nel 2011. La sostenibilità ambientale ha infatti decisive ricadute positive sui costi. L’adozione di misure di efficienza energetica e dei processi produttivi è in grado di portare a importanti risparmi monetari e ad infondere maggiore fiducia nei fornitori, minimizzando i rischi.

Il rapporto Coop 2018 ha inoltre sottolineato come i consumatori italiani preferiscono acquistare prodotti di aziende con un approccio sostenibile rispetto ai competitor: nei primi 6 mesi del 2018, le vendite di prodotti ecologici hanno quasi raggiunto quota 2 miliardi di Euro, contro i 3,6 di tutto il 2017.

 

Chiaramente l’azienda, per poter garantire ai suoi clienti che quello che offre sia realmente sostenibile, deve affidarsi a enti terzi che ne attestino tale qualità. Solo così la sostenibilità diviene un elemento riconosciuto, valido e oggettivo, utile da sfruttare anche a fini di comunicazione e marketing.

2. L’impresa e la realtà sempre più green, o forse no – A cura di Lucrezia Villa 

Ancora 2

All’interno di un mondo che si orienta sempre di più al green, la realtà dell’impresa si interroga sulle possibilità relative a una commercializzazione di prodotti e servizi “verdi”. Siamo ogni giorno testimoni di come un numero sempre più grande di imprese decida di espandersi in senso ecocompatibile, ma spesso, nel cammino verso questa scelta, sono affrontate delle difficoltà considerevoli.

 

Anzitutto, è importante sottolineare come la dicitura “prodotto eco-friendly” non faccia riferimento semplicemente al prodotto nella sua tangibilità, bensì all’intero ciclo di vita dello stesso, dall’approvvigionamento delle risorse allo smaltimento. L’obiettivo è la realizzazione di una produzione priva di impatti nocivi per l’ambiente, esso inteso sia come biosfera che come regno animale. Il rispetto di questo parametro, richiesto per poter qualificare correttamente il proprio prodotto come ecocompatibile, pone l’imprenditore di fronte a un sistema di costi contabili e di opportunità che devono essere attentamente soppesati con i vantaggi potenzialmente conseguibili sul mercato.

 

Si dice che l’attenzione alla sostenibilità del prodotto stia diventando una vera e propria missione per imprese e imprenditori: ma è giusto parlare di attenzione alla sostenibilità, o sarebbe più corretto parlare di accortezza al conseguimento di potenziali vantaggi competitivi?

L’impresa è infatti incentivata ad espandersi in senso “green” anzitutto per motivi di attrattiva del consumatore. Le dinamiche di mercato si stanno dimostrando via via sempre più sensibili alla tematica della sostenibilità e compatibilità ambientale, con paesi occidentali come Germania, Francia e Regno Unito annoverati tra i più coinvolti. 

 

Il cosiddetto ecolabelling costituisce quindi uno strumento importante a servizio dell’imprenditore. La stessa Commissione Europea ha promosso il sistema EU Ecolabel, che a mezzo di un elemento grafico - il “fiore europeo” - consente di identificare facilmente quei prodotti che, pur garantendo elevati standard prestazionali, sono caratterizzati da un ridotto impatto ambientale durante l’intero ciclo di vita. Le dichiarazioni commerciali di sostenibilità, di cui si dirà meglio in seguito, formano insomma un importante elemento di incoraggiamento alla commercializzazione di prodotti e servizi più compatibili con l’ambiente.

 

Alla luce di quanto detto, sembra che i prodotti eco-compatibili debbano essere considerati dalle imprese, comprese le PMI, sempre più come un’opportunità di sviluppo per il prossimo futuro, poiché offrono l’occasione di presentare un prodotto competitivo, che si distingue dalla “massa”.

 

Ciò nonostante, molte imprese non sono ancora in grado oggigiorno di convertire la propria produzione verso il green. La realtà aziendale funziona per dinamiche economiche e, nell’assumere una decisione, la scrupolosa valutazione del binomio costi-benefici riveste sempre grande importanza. Al cammino verso una commercializzazione più sostenibile si pongono infatti una serie di ostacoli fondamentali.

 

Anzitutto, la normativa stringente circa la salvaguardia ambientale nella produzione privata rende connaturati al proprio ossequio una serie di gomitoli procedurali e burocratici, il cui sbroglio si traduce in processi lunghi e complicati e, conseguentemente, in un elevato costo-opportunità per le imprese.

 

I prodotti ecocompatibili hanno poi dei costi di produzione essi stessi elevati, che possono risultare difficilmente recuperabili sul mercato. Tuttalpiù, è diffusa la percezione che la qualificazione “eco-friendly” non appaia più così innovativa e che, quindi, non si traduca in una fonte sicura di vantaggi in termini di differenziazione. Di seguito, esiste il timore che conseguenti investimenti in marketing e visibilità risultino inefficaci.

 

Quando si mette sul tavolo una possibile decisione di conversione della propria produzione in senso ecocompatibile, bisogna valutare attentamente poi i costi contabili.

Costi essenziali come Ricerca & Sviluppo, approvvigionamento delle risorse e smaltimento potrebbero rivelarsi eccessivamente onerosi per l’impresa con un know-how ben stabilito, avviata e che già porta avanti la propria tradizionale produzione. Costi il cui peso graverebbe ulteriormente a fronte di un prodotto finale ‘di nicchia’, ossia in grado di fare leva su un gruppo ristretto di consumatori.

 

Tuttalpiù, i prezzi ancora elevati dei prodotti eco-friendly rispetto a quelli tradizionali costituiscono un importante freno alla crescita della produzione.

Perché sì, i consumatori di oggi, in Italia e nel mondo, sono sempre più attenti al green. Tuttavia, resta da valutare, oggigiorno, quante quote di mercato siano effettivamente influenzate dalla sostenibilità nelle loro scelte di consumo e se siano quindi sufficienti a giustificare gli investimenti delle imprese. Infatti, particolarmente in alcuni settori – tra cui automotive e alimentari – i numeri sono ancora inadeguati: la crescente sensibilità dei consumatori non sembra ancora influenzarne in modo decisivo le scelte di acquisto.

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Il processo decisionale circa l’espansione al green risulta quindi potenzialmente molto complesso e l’incentivo principale alla conversione resta il potenziale vantaggio competitivo offerto dalle comunicazioni commerciali. Proprio per tutelarsi dai rischi derivanti da dichiarazioni “fedifraghe”, al legislatore è stato necessario intervenire in materia.

3. Cenni di normativa in tema di dichiarazioni commerciali di sostenibilità –  A cura di Valeria Sgobbi 

Ancora 3

Cosa accade quando le dichiarazioni di eco-sostenibilità sono false? Sul punto è necessario fare chiarezza, come ha intuito il legislatore europeo con la Direttiva 2005/29/EC e quello italiano con il Codice del Consumo (D.Lgs. 145/2007), il Codice di Autodisciplina delle comunicazioni commerciali e l’art. 2598 in tema di concorrenza sleale.

I messaggi promozionali che riguardano indicazioni e caratteri eco-sostenibili di prodotti o servizi, una notevole sensibilità sul tema ambientale o iniziative eco-friendly dell’inserzionista, sono noti come green claims: una categoria quanto mai variegata, sia per le modalità sia per i contenuti che può assumere.

 

Tali messaggi intendono suggerire al pubblico dei consumatori l’idea di un  minimo impatto ambientale, talvolta anche meno dannoso, spesso suggerendo, direttamente o indirettamente, un paragone con i prodotti concorrenti. L’etichetta eco-friendly attrae più facilmente il consumatore medio che si identifica con l’atteggiamento di cura per l’ambiente e intende, pagando eventualmente un prezzo maggiore rispetto a prodotti affini o sostituibili, ricompensare le imprese commerciali che investono in Ricerca & Sviluppo in tale campo.

Così funziona il mercato: ognuno si ritaglia il proprio spazio economico e gli strumenti sono i vantaggi competitivi che ciascuna impresa riesce ad ottenere.

 

Tuttavia, molti operatori economici non esitano ad avvalersi dei sopracitati green claims, connotati di per sé da neutralità, per risultare più aggressivi sull’arena del laissez-faire. Tale fenomeno prende comunemente il nome di “greenwashing”, ovvero messaggi che avvicinano, con dichiarazioni non aderenti o false  rispetto a quanto offerto con i propri prodotti, un segmento sempre maggiore di consumatori. In tal caso, i green claims sono un semplice pretesto per attrarre un numero maggiore di consumatori e costituiscono una forma di concorrenza sleale, in contrasto con il generale principio di non decettività e ingannevolezza che governa le comunicazioni pubblicitarie.

 

A livello europeo, la direttiva 2005/29, pur non riferendosi in particolare ai green claims, delinea un quadro normativo ad essi comunque applicabile, riguardando più in generale l’intera categoria dei messaggi pubblicitari. Infatti, tra gli obiettivi della direttiva sono incluse l’esigenza di esporre i green claims con modalità appropriate, dunque non ingannevoli, e la necessaria presenza di evidenze scientifiche ed empiriche a sostegno dei messaggi promozionali eco-sostenibili divulgati. 

 

A livello nazionale, i principali riferimenti normativi sono contenuti nel Codice di Autodisciplina della comunicazione commerciale e nel Codice del consumo.

In particolare, l’art. 2 del Codice di autodisciplina risulta molto chiaro nell’affermare il divieto di ingannevolezza dei messaggi pubblicitari sostenendo che “[L]a comunicazione commerciale deve evitare ogni dichiarazione o rappresentazione che sia tale da indurre in errore i consumatori”. Così come l’articolo 6 sottolinea la necessità che i messaggi promozionali siano sostenuti da prove empiriche e scientifiche dimostrabili “ a richiesta del Giurì o del Comitato di Controllo”. 

Tuttavia, è proprio l’art. 12 a chiarire come trattare i messaggi commerciali a sfondo ambientale, affermando che tali comunicazioni debbano basarsi “su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili” così da “comprendere chiaramente a quale aspetto del prodotto o dell’attività pubblicizzata i benefici vantati si riferiscono”. 

 

La normativa risulta essere dunque molto chiara. In sintesi, i green claims sono sempre accettati purchè non degenerino in greenwashing e, più in generale, in comunicazioni prive di prove empiriche o scientifiche a sostegno della propria etichetta di eco-sostenibilità con cui si propongono sul mercato.

Ancora 5

4. Conclusione

È chiaro come il futuro del mondo intero sia nelle mani di ciò che possa definirsi “green”. 

La coscienza di un popolo assopito ed incurante rispetto al tema ambientale (e di tutte le sue conseguenze sul mondo economico, sociale e politico) pare essersi finalmente scossa, risvegliata. 

È alla luce della consapevole corsa al salvataggio del pianeta, che possa coniugarsi alle necessità di un mondo globalizzato ed economicamente inarrestabile, che si coglie la maggiore attenzione e cura di legislatori nazionali e sovranazionali. 

Se ad oggi le spinte normative ed economiche verso l’eco-friendly possono apparire ancora timide, occorrerà attendere il futuro e le sue nuove generazioni, sempre più sensibili a tale tematica, per poter dichiarare affermato il settore “green” del diritto, consacrando delle regole globali che possano definitivamente salvaguardare la casa di noi tutti: il nostro pianeta.

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