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REFERENDUM SULL'EUTANASIA LEGALE

LIBERI FINO ALLA FINE

Redazione a cura Giulia Serio
Revisione a cura di Francesco Neri, Iacopo Brini

1. Cos'è?

Ancora 1

Il termine “eutanasia” significa letteralmente “buona morte” (dal greco eu-thanatos) e indica l’atto di procurare intenzionalmente e nel suo interesse la morte di una persona che ne faccia esplicita richiesta. La Federazione Cure Palliative ne fornisce una spiegazione ancora più esplicita definendola come “l’uccisione di un soggetto consenziente in grado di esprimere la volontà di morire”. La richiesta di eutanasia, nei paesi dove questa pratica è lecita, viene soddisfatta dopo un percorso che permette alla persona di effettuare una scelta consapevole e libera.

L’eutanasia viene spesso utilizzata come sinonimo di suicidio assistito, sedazione palliativa profonda e sospensione dei trattamenti, ma tale non è: sulle loro differenze è opportuno porre massima attenzione.

Il suicidio assistito è l’atto del porre fine alla propria esistenza in modo consapevole mediante l’autosomministrazione di dosi letali di farmaci da parte di un soggetto che viene appunto “assistito” da un medico (in questo caso si parla di suicidio medicalmente assistito) o da un’altra figura che rende disponibili le sostanze necessarie. Di regola avviene in luoghi protetti dove soggetti terzi si occupano di assistere la persona per tutti gli aspetti correlati all’evento morte (ricovero, preparazione delle sostanze, gestione tecnica e legale post mortem).

Per quanto le due pratiche siano accomunate dalla volontarietà della richiesta e dall’esito finale, ci sono almeno due sostanziali differenze tra eutanasia e suicidio assistito:

1.    l’eutanasia non necessita della partecipazione attiva del soggetto che ne fa richiesta, mentre il suicidio assistito sì, perché prevede che la persona malata assuma in modo indipendente il farmaco letale;

2.    l’eutanasia richiede un’azione diretta di un medico, che somministra un farmaco di regola per via endovenosa, mentre il suicidio assistito prevede che il ruolo del sanitario si limiti alla preparazione del farmaco che poi il paziente assumerà per conto proprio.

In entrambi i casi, queste richieste vengono sottoposte alla valutazione di commissioni di esperti e al parere di più medici, diversi da quelli che hanno in cura il paziente. Solo dopo un’accurata analisi delle sue condizioni cliniche, della compromissione della qualità della sua vita e della sua piena libertà decisionale, gli viene data la possibilità di accedere agli interventi, solo nei Paesi in cui sono consentiti (l’Italia non è tra questi)

Ma quali sono i Paesi in questione? in poche parole, in quali Paesi e in che modalità è al momento possibile in modo legale porre fine alla propria vita quando la sofferenza diventa insostenibile? Dove sono legali nel mondo il suicidio assistito o l’eutanasia?

2. L’eutanasia ed il suicidio assistito nel mondo

Ancora 2

Il primo paese del mondo che ha deciso di regolamentare il suicidio assistito è stato la Svizzera, che con una legge del 1942 ha depenalizzato l’aiuto al suicidio all’articolo 115 del codice penale. La situazione è invece diversa per quanto riguarda l’eutanasia. Nella Confederazione Elvetica sono molte le associazioni che si occupano di seguire i pazienti, anche provenienti dall’estero, nel percorso di accompagnamento al suicidio assistito. Nel 2011 i cittadini di Zurigo hanno rigettato una proposta di limitazione del cosiddetto “suicide tourism”, ossia l’affluenza di stranieri sul territorio per porre fine alla propria vita, dal momento che nei loro Paesi di provenienza è una pratica illegale.

In Europa, gli stati in cui è legale l’eutanasia vera e propria sono Paesi Bassi e Belgio dal 2002, Lussemburgo dal 2009 e Spagna dal 2021. Dal 2020 è depenalizzato il suicidio assistito in Germania. I Paesi Bassi sono stati la prima nazione a legalizzare l’eutanasia, prevedendo cioè che il medico possa lecitamente porre fine alla vita del paziente che ne faccia richiesta quando la sua condizione sia irreversibile e insopportabile. È attualmente in discussione una legge sull’eutanasia in Portogallo.

Sono poi diversi i casi, in Europa, che prevedono parziale depenalizzazione di pratiche come eutanasia passiva e suicidio assistito. In Francia per esempio, pur non essendo legale l’eutanasia, nel 2013 è stata approvata una legge che prevede la sedazione totale fino alla morte di quei pazienti che non hanno possibilità di miglioramento, anche se essa dovesse accelerare la morte.

In Regno Unito e nei Paesi scandinavi (Svezia, Norvegia e Finlandia) è invece legale l’eutanasia passiva, sebbene siano illegali il suicidio assistito e l’eutanasia attiva.

Sono molti quindi gli stati del mondo che depenalizzano l’eutanasia passiva e/o il suicidio assistito ma non l’eutanasia attiva, oppure che prevedono il cosiddetto “staccare dalle macchine”, come per esempio la Francia, legato solo a certi specifici casi, come per esempio i malati terminali.

Fuori dall’Europa, il suicidio assistito è legale in alcuni stati degli Stati Uniti, che seppur con modalità differenti tra loro hanno iniziato a depenalizzarlo a partire dagli anni ’90: Oregon (1997), Washington (2009), Montana (2009), Vermont (2013), California (2015), Colorado (2016), District of Columbia (2016), Hawaii (2018), Maine (2019), New Jersey (2019). Oltreoceano sono poi legali l’eutanasia attiva e il suicidio assistito in Canada. La nuova legge del 6 giugno 2016 prevede infatti che i cittadini canadesi con una malattia grave e incurabile possano richiedere assistenza medica per porre fine alla propria vita (MAID: Medical Assistance In Dying). Il testo della legge canadese è particolarmente estensivo perché comprende anche la possibilità di non avere una malattia terminale e/o incurabile per essere ammesso nel programma di “morte assistita”, anzi, si spinge ancora più in là, dal momento che dal marzo del 2023 verranno prese in considerazione per il MAID anche persone che desiderano porre fine alla propria vita a causa di una patologia esclusivamente mentale.

Rimanendo nel continente americano, possiamo trovare un altro Paese in cui l’eutanasia è legale. Si tratta della Colombia, dove un disegno di legge sulla depenalizzazione dell’eutanasia del 1997 è infine stato approvato nel 2015. Si tratta dell’unico stato del Sudamerica dove esiste questa possibilità. Altri Paesi come l’Argentina e il Cile prevedono per esempio la possibilità di rifiutare le cure per pazienti terminali o in condizioni estreme.

In Asia e in Africa l’eutanasia è tendenzialmente vietata. Ci sono però paesi come l’India dove è concessa quella passiva.

Per quanto riguarda l’Oceania, l’eutanasia è legale negli stati di Victoria (2019) e Western Australia (2021). Victoria è stato il primo, nel 2017, con una legge (Voluntary Assisted Dying) che è poi entrata in vigore nel 2019. I restanti stati stanno approvando, anche se in forme diverse, leggi su eutanasia e/o suicidio assistito.

Particolarmente interessante risulta l’analisi della legislazione avanzata dalla Spagna in materia, la quale si pone in posizione direttamente contrastante a quella italiana per quanto riguarda specificità ed indirizzo.

Tuttavia, al fine di attuare tale processo di innovazione, è stato predisposta una strategia complessiva, sul piano organizzativo, che la riforma – con disposizioni che entreranno subito in vigore – affida sin d’ora a un piano triennale per la transizione digitale dell’amministrazione della giustizia (art. 2, co. 18-19) e a un Comitato tecnico-scientifico per la digitalizzazione del processo (art. 2, co. 20).” 

A tali innovazioni non poteva non accompagnarsi anche una riforma del c.p.p., sul punto infatti l’art. 1 c. 5 della Riforma Cartabia dispone che: “il decreto o i decreti legislativi recanti disposizioni in materia di processo penale telematico sono adottati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi, al fine di prevedere che atti e documenti processuali possano essere formati e conservati in formato digitale, in modo che ne siano garantite

-    l’autenticità, 

-    l’integrità, 

-    la leggibilità, 

-    la reperibilità 

-    e, ove previsto dalla legge, la segretezza.  

Viene previsto che nei procedimenti penali in ogni stato e grado il deposito di atti e documenti, le comunicazioni e le notificazioni siano effettuati con modalità telematiche ; le trasmissioni e le ricezioni in via telematica devono inoltre assicurare sia al mittente che al destinatario certezza, anche temporale, in merito all’’avvenuta trasmissione e ricezione, nonché circa l’identità del mittente e del destinatario.

Viene inoltre previsto che per gli atti che le parti compiono personalmente il deposito possa avvenire anche con modalità non telematica.

Non di minore importanze, in tema di digitalizzazione del processo penale, è il punto di cui al comma 8 dell’art. 1 in materia di “Registrazioni audiovisive e processo da remoto”. Forti dell’esperienza pandemica, ci si è resi conto come principi fondamentali del processo penale, quali immediatezza e oralità, possono essere preservati da video o audio registrazioni che, unitamente al complessivo processo di digitalizzazioni si traducono in un risparmio di tempo e in un conseguente incremento dell’efficienza del processo.

3. La disciplina penalista sul fine vita in Spagna ed in Italia

Ancora 3

Il 18.03.2021 il Congreso de los Diputados della Spagna ha approvato la “Ley organica de regulaciòn de la eutanasia” recante la disciplina organica e la legalizzazione della prestazione sanitaria che conduce alla “dolce morte”. La normativa in esame si caratterizza per la semplicità lessicale e la brevità contenutistica, essendo costituita da soli cinque capitulos (ovverosia paragrafi) e da alcune disposizioni addizionali, transitorie e finali. Il testo regolamenta e legalizza tanto l’eutanasia attiva, quanto il suicidio medicalmente assistito. Con la legge in materia di eutanasia il legislatore iberico ha altresì modificato il quarto comma dell’art. 143 del còdigo pénal che punisce espressamente la condotta dell’eutanasia attiva ed ha aggiunto un quinto comma nel quale viene prevista una peculiare causa di esclusione della punibilità a favore di colui che ha determinato la morte di un soggetto che si trovi in un contesto eutanasico secondo le condizioni indicate dalla norma sopra citata.

Contrariamente a quanto fin qui esaminato per la Spagna, in Italia il panorama normativo sul fine vita è alquanto lacunoso.

Infatti, il legislatore nostrano è intervenuto sul tema solo di recente con la legge n. 219/2017, recante la regolamentazione del c.d. testamento biologico e del rifiuto al trattamento terapeutico anche se vitale.

Per quanto riguarda i profili penalistici della condotta eutanasica, questa non è espressamente punita da un apposito articolo, come invece avviene nel codice penale spagnolo.

Di conseguenza, di fronte ai casi di eutanasia i giudici italiani hanno fino ad oggi qualificato giuridicamente il fatto, a seconda delle caratteristiche concrete della vicenda, ai sensi dell’art. 575 (omicidio) o dell’art. 579 (omicidio del consenziente) oppure, più di frequente, ricorrendo alla fattispecie tipica dell’art. 580 c.p. (istigazione o aiuto al suicidio). 

Proprio l’articolo 580 c.p. è stato oggetto di una recente e assai significativa pronuncia da parte della Corte Costituzionale in relazione al noto caso “Dj Fabo”. In particolare, la Consulta era stata investita della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di Assise di Milano chiamata a giudicare su Marco Cappato imputato del reato ex art. 580 c.p. per aver accompagnato Fabiano Antognani a suicidarsi in una clinica in Svizzera. Il Giudice delle leggi, con ordinanza n. 207 del 16.11.2018, rinviava la trattazione della questione al 24.09.2019, sospendendo il processo a quo. Nella stessa ordinanza la Consulta rivolgeva anche un appello diretto al legislatore, nell’ottica di una collaborazione “forzata”, affinché questi intervenisse sull’assetto normativo del fine vita che allora lasciava prive di tutela situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione. Tuttavia, l’appello rivolto dalla Corte costituzionale è rimasto inascoltato poiché, giunti al 24.09.2019, il legislatore non era ancora intervenuto per colmare il vuoto normativo sul fine vita, nonostante le pressanti richieste istituzionali, mediatiche e sociali. Così, con sentenza 25 settembre- 22 novembre 2019, n.242 la Corte costituzionale ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 580 del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) - ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi di cui in motivazione -, agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente".

Come emerge dalla lettura trattasi di una sentenza interpretativa di accoglimento, che rappresenta il tipo di sentenza privilegiato dalla Consulta quando, come una sorta di terza camera legislativa, intende produrre del diritto di origine giurisprudenziale.

Quindi la Corte costituzionale, nei casi integranti il reato di aiuto al suicidio (art. 580 c.p.) ha escluso la punibilità di colui che agevola materialmente la fase esecutiva del suicidio di chi si trovi nelle gravi condizioni di infermità indicate. Pertanto, sia l’istigazione al suicidio (ovverosia il rafforzamento o l’induzione al convincimento della volontà di suicidarsi), quanto l’eutanasia in senso stretto (causazione diretta della morte da parte del personale sanitario su richiesta del paziente) rappresentano ancora oggi in Italia delle condotte punite penalmente.

Ed è proprio in questo frangente che entra in gioco il referendum sull’eutanasia legale di recente oggetto di una felice campagna di raccolta firme.

4. Articolo 579 c.p. e relative abrogazioni referendarie

Ancora 4

Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni. Non si applicano le aggravanti indicate nell’articolo 61. Si applicano le disposizioni relative all’omicidio [575-577] se il fatto è commesso:

1.    Contro una persona minore degli anni diciotto;

2.    Contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;

3.    Contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno [613 2].

​

Il referendum vuole abrogare parzialmente la norma penale che impedisce l’introduzione dell’eutanasia legale in Italia. L’omicidio del consenziente, previsto dall’art. 579 c.p. infatti, non è altro che un reato speciale (rispetto a quello di portata generale di cui all’art. 575 c.p. sull’omicidio) inserito nell’ordinamento per punire l’eutanasia.

Con questo intervento referendario l’eutanasia attiva, previa valutazione del giudice in sede processuale, potrà essere consentita nelle forme previste dalla legge sul consenso informato e il testamento biologico, e in presenza dei requisiti introdotti dalla Sentenza della Consulta sul “Caso Cappato”, ma rimarrà punita se il fatto è commesso contro una persona incapace o contro una persona il cui consenso sia stato estorto con violenza, minaccia o contro un minore di diciotto anni. Dunque, l’esito abrogativo del referendum farebbe venir meno il divieto assoluto dell’eutanasia e la consentirebbe, fatti salvi i criteri circa il consenso informato previsti dalla legge 219/2017 in materia di consenso informato.

 

Eliminando le parole che la proposta di referendum si propone di abrogare, l’art. 579, c.p. viene capovolto nei suoi effetti, e si ritrova a sancire il principio di disponibilità del diritto alla vita. Infatti, il testo risultante prescrive che alla morte cagionata col consenso di persona non in grado di prestarlo (per età o condizioni personali) o invalido per modalità di formazione (estorto o carpito) siano applicabili le disposizioni comuni sull’omicidio, sul presupposto implicito, ma univocamente desumibile contrario sensu, che, se il consenso fosse validamente prestato, tali disposizioni comuni non potrebbero essere applicate.

I limiti della disponibilità del diritto alla vita risulterebbero peraltro tracciati esclusivamente in funzione delle indicazioni fornite dallo stesso art. 579 c.p. “novellato” (anzi: riscritto) dal referendum. Quindi una persona perfettamente sana di mente, maggiore di età, lucida e libera nell’espressione del consenso, potrebbe validamente consentire la propria morte, senza conseguenze per chi l’abbia determinata.

Pare ovvio che non si tratti di «eutanasia», dato che questa pratica (comunque motivata) postula necessariamente il consenso della persona, e non è infatti da riferirsi anche a soggetti non in grado di esprimere un valido consenso, che continuerebbero quindi a ricadere, in linea di principio, nell’orbita dell’omicidio comune (salve le ipotesi di aiuto al suicidio facoltizzate dalla sentenza della Corte Costituzionale, che non sono tuttavia, propriamente, ipotesi di omicidio del consenziente).

Si intende quindi dare il via libera ad una serie di omicidi variamente ed incontrollabilmente consentiti, e quindi non punibili? Non è così.

Una volta commesso l’omicidio, per escludere la punibilità non basterebbe certo limitarsi ad addurre il consenso della persona uccisa: occorrerebbe dimostrarlo in modo persuasivo. Il caso di chi consentisse al proprio omicidio, ad es., in piena consapevolezza e perfette condizioni di salute, susciterebbe inevitabilmente interrogativi pesanti: era davvero sano di mente; non versava forse in uno stato di «deficienza psichica» (condizione di estrema e controversa ambiguità); non aveva magari abusato di sostanze stupefacenti; o non era stato vittima, se non di inganno, almeno di «suggestione» (altro stato tutt’altro che facile da definire)? Sembra evidente che, prima di rischiare un’incriminazione per omicidio, chi volesse aderire alla richiesta di facilitazione della morte formulata da una persona, dovrebbe porsi molti interrogativi ed assicurarsi di possedere una risposta molto convincente a ciascuno di essi.

Certo, in tutti i casi in cui oggi è autorizzato l’aiuto al suicidio non potrebbe evidentemente non essere autorizzato anche l’omicidio del consenziente. Molto più in là di così, tuttavia, è ben difficile supporre che chiunque possa spingersi senza correre rischi assai consistenti di essere non solo incriminato per omicidio, ma anche, in difetto di una adeguata prova del consenso ricevuto, giustamente condannato.

​

5. La sentenza della Corte Costituzionale

 

A discapito di quanto sopra scritto e contrariamente a ciò che la comune opinione avrebbe potuto considerare come prevedibile, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum sull’eutanasia legale. Con decisione del 15 febbraio 2022, la Consulta ha fatto sapere che il quesito, che proponeva la depenalizzazione dell’omicidio del consenziente, è stato bocciato perché “a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili”. 

Se il referendum fosse passato, sarebbe rimasta in vigore soltanto la previsione – già esistente – che disciplina l’applicazione della norma sull’omicidio del consenziente se il fatto è commesso contro una persona minore di 18 anni, contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti, o contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione o carpito con l’inganno. Secondo i promotori, il rischio di una completa depenalizzazione della fattispecie non ci sarebbe stato, perché la normativa di risulta si sarebbe inserita in un contesto “caratterizzato sia dalla vigenza della legge 219/2017 che definisce le caratteristiche che il consenso del richiedente deve avere nell’ambito di un percorso di fine vita, sia dalla sentenza della Corte costituzionale 242/2019 che individua le circostanze per le quali si possa legittimamente chiedere la morte volontaria”

«Leggere o sentire che chi ha preso la decisione non sa cosa è la sofferenza ci ha ferito ingiustamente. Il referendum non era sull’eutanasia, ma sull’omicidio del consenziente». Giuliano Amato è appena uscito dalla Camera di consiglio con i giudici della Consulta e ancora non ha comunicato l’esito dell’esame degli ultimi quesiti referendari. Il presidente della Corte costituzionale è atteso per la non comune conferenza stampa che segue le decisioni sugli otto quesiti. «L’omicidio del consenziente sarebbe stato lecito in casi ben più numerosi e diversi da quelli dell’eutanasia», spiega con quella che ritiene una considerazione ineccepibile.

Amato ha forte desiderio di spiegare ai promotori, ma soprattutto agli italiani, le motivazioni che hanno portato alle scelte sui referendum. Rispondendo ad una domanda specifica in conferenza stampa, egli ribadisce «Saremmo magari arrivati ad un primo caso di un ragazzo maggiorenne che in una sera triste, magari trovando un amico dopo una bevuta, avrebbe chiesto di aiutarlo al suicidio e la legge glielo avrebbe concesso: questo non è possibile, il referendum non era purtroppo solo sull’eutanasia ma in generale sull’omicidio del consenziente. Ammettere questo quesito avrebbe aperto anche a casi nel genere».

Le reazioni forti alla bocciatura del quesito sulla morte del consenziente non gli sono piaciute affatto. Il Presidente non accetta di sentir parlare di giudici indifferenti alla tragedia umana di chi è colpito da malattie irreversibili. E però, insiste, il quesito «apre all’impunità penale di chiunque uccide qualcun altro con il consenso, sia che soffra sia che non soffra. Occorre dimensionare il tema dell’eutanasia alle persone a cui si applica, ossia a coloro che soffrono. Noi non potevamo farlo sulla base del quesito referendario, con altri strumenti può farlo il Parlamento».

E qui sta uno dei punti cardine che il Presidente della Consulta sottolinea meticolosamente, ovvero il ruolo delle Camere. «Sarà che è troppo occupato dalle questioni economiche», ma forse il Parlamento non dedica «abbastanza tempo» a cercare di trovare la «soluzione» sui «conflitti valoriali». Ma, continua il "dottor Sottile", «è fondamentale che in Parlamento capiscano che se questi temi escono dal loro ordine del giorno possono alimentare dissensi corrosivi per la coesione sociale».

In sintesi, i giudici della Consulta che, oltre a quello sull’omicidio del consenziente, hanno dichiarato inammissibile il quesito sulla responsabilità civile dei magistrati e quello sulla cannabis, accogliendo invece gli altri cinque referendum sulla giustizia, non hanno «cercato i peli nell’uovo», come aveva previsto Amato prima di chiudersi in Camera di consiglio. «In alcuni casi l’orientamento è stato unanime, in altri prevalente», ma «nessuno ha mai chiesto di votare». Perciò, il Presidente replica alle accuse di Marco Cappato (tra i promotori referendari), «che deve la giusta assoluzione nel processo che ha avuto per il caso del Dj Fabo anche alla sentenza di questa Corte, dire che questa Corte fosse maldisposta significa dire una cattiveria che si poteva anche risparmiare in un momento in cui era opportuno riflettere su cosa stava facendo, parlando di eutanasia mentre si trattava di omicidio del consenziente».

Rimaniamo, tuttavia, in attesa delle motivazioni della sentenza per avere una più chiara, esplicita nonché definitiva spiegazione della vicenda.

Ancora 5
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