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TRA PRESIDENZIALISMO E PREMIERATO: LA POSSIBILE RIFORMA COSTITUZIONALE SULLA FORMA DI GOVERNO

Articolo a cura di  Riccardo Moggio
Revisione a cura di Anna Flora

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1. L'attuale forma di governo in Italia

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Oggi, l’Italia è una repubblica parlamentare. Questo significa che la nostra Costituzione prevede l'esistenza di un Parlamento al quale è assegnato l’esercizio del potere legislativo. Sussiste pertanto la necessità di aversi un rapporto di fiducia tra quest’ultimo e il Governo.

La nostra forma di governo si basa sulla eleggibilità diretta dei parlamentari, che a loro volta devono votare la fiducia, da mantenere durante l’intera durata della legislatura, al Presidente del Consiglio e all’intero Consiglio dei Ministri, i quali, diversamente, non sono eletti dal popolo. Il Presidente del Consiglio, infatti, è nominato dal Presidente della Repubblica sulla base dei risultati elettorali, e ha la possibilità di proporre i Ministri, nominati anch’essi dal Capo dello Stato. Alla luce di questo scenario, è fondamentale che il Presidente della Repubblica si ponga e venga considerato quale figura istituzionale apartitica, che non subisca l’influenza da parte di alcun organo di governo, affinché vigili sul corretto funzionamento di ciascuno di essi. Non a caso, il Presidente non è eletto direttamente dal popolo, il quale tenderebbe infatti a esprimere una preferenza sulla base del proprio orientamento politico.

A tal proposito, l’articolo 83 della Costituzione enuncia: “Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri. [...] L'elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell'assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta”.

In questo modo, la Costituzione assicura che il Capo di Stato, eletto in secondo grado, goda di un consenso condiviso dalla maggior parte delle forze politiche che siedono in Parlamento, indipendentemente da quale sia la maggioranza di governo.

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2. La proposta di presidenzialismo della coalizione al Governo

Prendendo in considerazione le disposizioni costituzionali citate al paragrafo precedente, appare allora evidente che la proposta avanzata, già in periodo di campagna elettorale da parte della coalizione attualmente al Governo, intende modificare l’attuale forma di governo. In particolare, uno dei punti principali del programma elettorale della coalizione di centrodestra formata da Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia recita: “Elezione diretta del Presidente della Repubblica”.

Questa proposta è stata richiamata più volte dai leader dei partiti sopra menzionati, ma non è mai stata spiegata nel dettaglio. Al fine di effettuare un approfondimento in merito, può risultare utile analizzare una proposta di legge del 2018, presentata su iniziativa di vari deputati di FdI, tra cui figura l’attuale Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Tale proposta era finalizzata a modificare la parte II della Costituzione, con riferimento alle disposizioni relative all’elezione e ai poteri del Presidente della Repubblica. Quest’ultima, già bocciata in Parlamento nel corso della scorsa legislatura, prevedeva, tra i suoi punti principali, l’elezione diretta del Presidente della Repubblica da parte del popolo. Lo scopo non era però quello di ottenere un sistema presidenziale, simile a quello presente negli Stati Uniti d’America, ove Presidente e Parlamento sono completamente indipendenti l’uno dall’altro. Al contrario, la riforma parlava anche di potere di scioglimento delle Camere per il Presidente, nonché della presenza di un vero e proprio Governo, guidato da un Primo Ministro, il quale avrebbe dovuto continuare a riceve la fiducia dall’Assemblea legislativa. Questi sono tratti tipici di un sistema semi-presidenziale, in cui il Presidente, pur essendo eletto dal popolo, non può governare senza un Governo che gode della fiducia del Parlamento.

Il semi-presidenzialismo puà avere due forme e caratteristiche diverse. Si distingue infatti tra:

  1. Semi – presidenzialismo a Presidente debole

  2. Semi – presidenzialismo a Presidente forte: in questo caso il Presidente ha il potere di sciogliere le camere, di nominare e revocare il Primo ministri e tutti gli altri Ministri, di presiedere il Consiglio dei Ministri e dunque di dirigere la politica del Paese. In quest’ottica, il Capo di Stato diventerebbe titolare del potere esecutivo, nonché una figura politica e spesso sostenuta da un partito piuttosto che da un altro: la proposta di legge del 2018 prevedeva infatti che le candidature per la carica fossero presentabili da un gruppo parlamentare presente in almeno una delle Camere o da duecentomila elettori. Si tratta della forma di semi – presidenzialismo oggetto della proposta di riforma di legge in esame.

In conclusione, tale proposta aveva altresì lo scopo di introdurre anche lo strumento, già in uso in altri Paesi d’Europa quali Germania e la Spagna, della “sfiducia costruttiva”, il quale consiste nella possibilità per il Parlamento di sfiduciare il Governo se e solo se contestualmente alla mozione di sfiducia esso presenta anche il nome del nuovo Primo ministro a cui garantirebbe la fiducia.

3. Le ragioni di tale proposta

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Le ragioni avanzate dalla coalizione al governo riguardano la necessità di porre rimedio all’alta instabilità dei governi in Italia, la quale ha sempre caratterizzato la storia della Repubblica italiana. Alla base di questo fenomeno vi sono la bassa razionalizzazione della forma di governo e, soprattutto, un sistema politico multipolare.

Con “razionalizzazione della forma di governo” si fa riferimento ad un insieme di strumenti, costituzionalmente previsti, che garantiscano solidità al Governo in carica: la sfiducia costruttiva è proprio una proposta che rappresenta una forma di razionalizzazione. In Italia, inoltre, il Presidente del Consiglio gode di meno legittimazione rispetto a quella di cui godono i Capi di Governo di altri Paesi europei: in Germania, per esempio, il Cancelliere viene eletto in Parlamento, su proposta del Presidente federale.

Ma ciò che davvero non permette al Presidente del Consiglio e a tutto l’esecutivo di godere di una forte stabilità e autorità è il sistema politico italiano e dei partiti. Il panorama partitico italiano, infatti, si presenta decisamente frammentato e ricco di numerosi partiti con posizioni diametralmente diverse tra di loro. In una situazione del genere, è difficile che i partiti tendano ad allearsi in vista delle elezioni, motivo per cui non è sempre possibile raggiungere una maggioranza di governo già a partire dai soli risultati elettorali.

Tale situazione di stallo si presentò spesso per la prima metà di vita della Repubblica, a causa del sistema elettorale proporzionale puro che permetteva anche ai partiti più piccoli di essere rappresentati in Parlamento. Con la riforma del ‘93, il sistema elettorale si orientò verso un sistema maggioritario, con la conseguenza che i partiti furono più incentivati a coalizzarsi tra di loro, e questa tendenza si registra ancora oggi. Va segnalato, tuttavia, che il nostro sistema partitico, per quanto possa essere spinto verso un bipolarismo, non potrà mai essere bipartitico, con la conseguenza che, la maggioranza di governo raggiunta a seguito delle elezioni sarà pur sempre formata da una coalizione di partiti e non da un singolo partito. Questo è dovuto al fatto che il panorama partitico italiano è composto da partiti con ideologie troppo diverse tra di loro per pensare che si possano fondere tutti in due soli grandi partiti rivali, e, inoltre, l’attuale sistema elettorale, tornato a essere improntato verso un’ottica proporzionale, non aiuta particolarmente questo processo. In questo modo, non è possibile aversi la garanzia relativa alla totale assenza di scissioni all’interno della coalizione e al fatto che il Governo possa rimanere in carica per tutta la legislatura.

4. Storia della forma di governo della Repubblica

Porre a capo dell’esecutivo un soggetto eletto direttamente dal popolo e che non ha bisogno della fiducia da parte del Parlamento potrebbe mitigare il problema della caduta prematura dei Governi. Per questa ragione, le proposte di attuare un presidenzialismo o un semi-presidenzialismo in Italia non sono mancate fin dalla nascita della Repubblica, fino ad arrivare a quella attuale descritta nei paragrafi precedenti.

Uno dei primi e più importanti temi trattati in Assemblea costituente fu appunto quello relativo alla forma di governo che l’Italia repubblicana avrebbe dovuto assumere. Le proposte a questo riguardo furono le seguenti: la forma parlamentare che oggigiorno è quella vigente, e una forma di presidenzialismo sullo stile degli Stati Uniti, come sopra descritta. Nella discussione decisiva, tenutasi tra il 3 e il 5 settembre del 1946, quasi tutti i costituenti aderirono alla proposta dell’ordine del giorno, la quale prevedeva la forma di governo parlamentare “con dispositivi idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di Governo e ad evitare le degenerazioni del parlamentarismo”. Tale forma di governo, presente ancora oggi, ottenne la maggioranza dei voti.

Piero Calamandrei, uno dei fondatori del Partito d’Azione, avanzò invece la proposta di aversi un’Italia presidenziale e federalista. Il suo progetto proponeva un sistema simile a quello americano, ossia un presidenzialismo collegato al federalismo, che garantisse pienamente i diritti di libertà, l’ indipendenza della magistratura e l’ autonomia della Corte costituzionale. Progetto che, come detto, non fu abbracciato dalla maggior parte dei costituenti.

 

Nel 1964, Randolfo Pacciardi, padre costituente, fondò un nuovo gruppo politico, l’Unione democratica per la Nuova Repubblica. Lo scopo di Pacciardi era quello di trasmettere, attraverso il suo partito, l’idea di presidenzialismo in Italia. Nello stesso anno, Pacciardi e i suoi seguaci organizzarono diversi comizi e manifestazioni, la più eclatante delle quali si tenne proprio alle soglie del Quirinale. Durante le elezioni politiche del  1968, però. Unione democratica ottenne risultati davvero poco incoraggianti alle urne, e andò nel giro di pochi anni a scomparire.

 

Sulla scia di Pacciardi si inserì un importante esponente della politica italiana di quegli anni, Giorgio Almirante, segretario del Movimento Sociale Italiano. Egli sostenne più volte la necessità di lasciare che il Presidente della Repubblica fosse eletto in primo grado. Nella sua visione, questo era necessario per far sì che il Presidente del Consiglio, nominato da un Presidente della Repubblica voluto dal popolo, godesse di un consenso popolare. Nella visione di Almirante questo sistema si inseriva in una forma di governo che prevedesse una sola camera parlamentare, composta per metà da candidati politici eletti dal popolo, per l’altra metà dalle categorie del mondo del lavoro e della produzione. Almirante desiderava infatti che i partiti politici avessero un ruolo meno determinante nella vita politica italiana e nel funzionamento delle istituzioni: con il sistema parlamentare, certamente la stabilità di un Governo è nelle mani del Parlamento composto esclusivamente da gruppi rappresentanti i partiti. Per questo motivo, le sorti dell’Esecutivo dipenderebbero direttamente da questi  ultimi.

 

Infine, durante gli anni 2000, uno dei più grandi sostenitori del presidenzialismo fu Silvio Berliusconi. Fin dai suoi primi passi in politica, egli sostenne sempre la necessità di eleggere direttamente il Capo dello Stato. Già nel 1995, infatti, Berlusconi si fece promotore del presidenzialismo dinanzi al Parlamento e nello stesso anno furono discusse diverse proposte di riforma costituzionale finalizzate a modificare, inter alia, l’articolo 83 della Costituzione. Nessuna di queste riforme venne adottata, ma, come noi tutti abbiamo avuto modo di osservare, Berlusconi ancora durante le ultime elezioni proponeva in campagna elettorale questa soluzione, in linea con la proposta di centrodestra.

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5. Benefici e aspetti critici
 

Analizzati gli aspetti di questa riforma, è possibile ora tentare di effettuare un bilancio relativamente agli effetti che un cambiamento di questa portata potrebbe avere sulla forma di governo. Da un lato, sicuramente il semi-presidenzialismo alla francese porterebbe maggiore stabilità al capo dell’esecutivo, che sarebbe il Capo di Stato stesso, con la conseguenza che l’indirizzo politico resterebbe inalterato per tutta la legislatura. Dall’altro lato, questo potrebbe anche essere un problema: se le forze parlamentari in parlamento dovessero mutare la loro composizione e le loro alleanze, il Governo in carica rischierebbe comunque di cadere, ma non il Capo di Stato, che dunque potrebbe usare lo scioglimento anticipato delle camere come strumento “politico” per ottenere una maggioranza a lui favorevole. Questa dinamica potrebbe evidenziarsi nel momento in cui le elezioni per l’Assemblea e per il Presidente della Repubblica non fossero contestuali: questo è ciò che accade negli U.S.A. per esempio, dove non è infrequente che la maggioranza parlamentare sia del partito opposto rispetto a quello del Presidente. Da un lato, il Capo di Stato non sarebbe soggetto a un rapporto di fiducia con il parlamento, dall’altro è chiaro che un sistema politico come il nostro, dove per loro natura i partiti non sono in grado di ottenere da soli una maggioranza, potrebbe comunque rendere difficoltoso per esso governare.

A fronte, infatti, di un repentino mutamento delle maggioranze e delle coalizioni, neanche lo scioglimento delle Camere si pone come un’adeguata soluzione al problema dell’instabilità.

È pertanto fondamentale interrogarsi sulle modalità con cui sia possibile rendere il sistema politico italiano più stabile: si potrebbe reintrodurre un sistema maggioritario puro, come quello adottato nel 1993, al fine di ridurre, quanto più possibile, il numero di partiti in lista per un posto in Parlamento, o si potrebbero adottare elementi di razionalizzazione, quali la sfiducia costruttiva, l’elezione diretta o in parlamento del Presidente del Consiglio e la possibilità per questi ultimi di nominare e revocare i Ministri. Questi potrebbero essere dei buoni compromessi per rafforzare l’Esecutivo, senza al tempo stesso perdere quel carattere di imparzialità che caratterizza il Capo dello Stato in un sistema parlamentare.

Ciò che appare evidente è che in Italia il problema dell’instabilità degli esecutivi è un problema serio e radicato: non riuscire a mantenere una linea politica, qualunque essa sia, per un periodo di tempo sufficientemente lungo significa non poter mai portare a progetti a lungo termine o riforme profonde di interi settori.

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6. Recenti sviluppi

I più recenti sviluppi hanno visto Giorgia Meloni e la coalizione al Governo propendere sempre più per una soluzione alternativa rispetto al progetto originale di (semi) presidenzialismo, osteggiato dalle altre forze partitiche. Di conseguenza, la coalizione sembra intenzionata a presentare un progetto di revisione costituzionale che preveda l’elezione diretta del Presidente del Consiglio. Il disegno di legge è stato approvato questo 3 novembre dal Consiglio dei Ministri, e prevede una specifica elezione per il Presidente del Consiglio contestualmente alle elezioni parlamentari. Questi resterebbe in carica per tutto il corso della legislatura (5 anni), e dovrebbe inoltre essere un membro stesso del Parlamento.

Se il disegno di legge venisse approvato, si verificherebbe un cambio di forma di Governo, anche se possiamo considerare questa proposta come l'introduzione di un forte strumento all’interno di un sistema - che resta per tutto il resto parlamentare - per dare maggiore stabilità al Consiglio dei Ministri, il cui Presidente sarebbe legittimato direttamente dal popolo.

 

Parlando di tale riforma dobbiamo tenere in conto un aspetto fondamentale: si sta parlando di una forma di governo ideata dalla dottrina, per provare a riproporre quella sostanziale investitura popolare del Premier nel Regno Unito, realizzabile in questo contesto grazie alla presenta di un  sistema politico che vede due soli partiti fronteggiarsi alle elezioni. Applicazioni pratiche di tale elaborazione teorica non si sono mai viste nel corso della storia, se non in Israele, in un lasso di tempo che va dal 1992 al 2001. In quel caso, però, non era stato applicato l’elemento della contestualità per quanto riguarda le elezioni del Primo Ministro e del Parlamento. Siamo forse dunque privi di esempi storici per giudicare davvero l’effettività di una riforma di questo genere, ma quello che è certo è che per fornire efficacia a questa forma di governo è necessario modificare in primo luogo il sistema elettorale: non è infatti possibile aversi l’elezione diretta del Presidente del Consiglio in un contesto in cui il partito vincente non riesca a ottenere la maggioranza assoluta in Parlamento. Questo rischierebbe di portare a uno stallo e a una tensione politica eccessiva, che forse è il maggior rischio legato a tale proposta. Del resto, il disegno di legge approvato prevede l'introduzione di un premio di maggioranza, che assicuri al partito vincente il 55% dei seggi in Parlamento.

 

Rimane la perplessità riguardo all’efficacia del premio di maggioranza appena menzionato: il vero obiettivo della modifica della forma di Governo dovrebbe essere quello di rendere sempre meno frammentato il panorama politico italiano nel corso del tempo, avvicinandosi al modello britannico in cui, come detto, dove il partito vincente riesce ad ottenere effettivamente la maggioranza assoluta alle elezioni perché la scelta degli elettori può ricadere solo su due partiti contrapposti.

In Italia, si è già precisato che è ben più facile immaginare che questa situazione possa verificarsi con riguardo a un bipolarismo più che a un bipartitismo, ma sarebbe già un grande successo in termini di stabilità governativa. Aspetto critico che emerge dall’idea di un premio di maggioranza è che questo possa distorcere anche fortemente il risultato elettorale: il problema consiste nell’assenza di soglia minima di voti che un partito deve raggiungere per ottenere il premio di maggioranza, e dunque anche solo una maggioranza relativa  porterebbe ad avere un Parlamento controllato da un partito che in realtà gode di una legittimazione popolare molto più bassa. Sarebbe allora forse più adeguato pensare a una riforma organica della legge elettorale, improntandola verso un vero e proprio sistema maggioritario.

La strada per arrivare a un qualsiasi risultato sicuramente è ancora lunga: il disegno di legge andrà discusso e dovrà ottenere l'approvazione del Parlamento, richiedendo tempi non brevi, e inoltre bisognerà valutarne l’efficacia quando e se verrà approvato . Si rimane pertanto in attesa dei successivi sviluppi, che potrebbero portare l'Italia a essere l’unico Paese al mondo con una forma di governo “neoparlamentare”.

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